Salario minimo e giorno della marmotta
Il 5 dicembre si è concluso il piano attendista del governo sul salario minimo, con la bocciatura della soglia minima di 9 euro lordi l’ora. La strategia attendista andava avanti sostanzialmente da luglio, quando le opposizioni, a esclusione di Italia Viva, avevano presentato alla camera una proposta di legge condivisa sul salario minimo.
La presidente del consiglio a quel punto ha deciso di rallentare il più possibile i tempi della proposta di legge, raffreddare il dibattito e spostare il problema sempre più in là.
I motivi di questa scelta sono molteplici: non voler far vincere una battaglia politica alle opposizioni, dettare il ritmo del dibattito pubblico e soprattutto non far passare il governo per contrario al salario minimo.
Infatti, se il governo Meloni è contrario al salario minimo, non si può dire che i suoi elettori lo siano. Anzi, i sondaggi parlano chiaro, con un 75% di italiani favorevoli al salario minimo, gli elettori di Fratelli d'Italia favorevoli sarebbero il 71% e quelli del resto della destra il 67%. Insomma, una bella gatta da pelare.
E quindi l'attesa
A fine luglio, Meloni ha evitato che la maggioranza bocciasse la proposta di legge con un voto soppressivo, proprio per non poter sembrare totalmente contraria al salario minimo alla luce delle condizioni di vita dei lavoratori e dei sondaggi nettamente favorevoli, ma da lì in poi la voglia di far politica anziché gli interessi dei cittadini prevale. Quindi, prima invita i leader delle opposizioni a Palazzo Chigi per confrontarsi sul salario minimo, in seguito decide di aver bisogno di un rapporto del CNEL (consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), il quale ha avuto due mesi per valutare il salario minimo, bloccando di fatto la discussione parlamentare fino al 12 ottobre, giorno della pubblicazione del documento del CNEL.
Sorpresa delle sorprese il CNEL giunge alla conclusione che il salario minimo non sia il metodo migliore per contrastare il lavoro sottopagato, ma che si debba ricorrere maggiormente alla contrattazione collettiva.
Il governo Meloni sfrutta questo assist per rallentare ulteriormente la proposta di legge, riportandola indietro dalla camera alla commissione lavoro, facendo fare alla proposta un vero e proprio passo indietro nell’iter legislativo.
È nella commissione lavoro che avviene l’ultimo atto della tattica attendista di Meloni & co. A fine novembre, il presidente della commissione, Walter Rizzetto di FdI, presenta un emendamento sostitutivo, ovvero una modifica della proposta di legge; però, anziché modificare una parte della legge come solito fare, questo emendamento riscrive totalmente la proposta delle opposizioni. Il procedimento rimane formalmente lo stesso, il contenuto, invece, è totalmente diverso. La ragione è molto semplice: adesso è la maggioranza ad avere il controllo sul testo, costringendo le opposizioni a proporre emendamenti. Il voto del 6 dicembre era l’ultimo tentativo delle opposizioni di emendare il nuovo testo della proposta di legge, presentato da Rizzetto, per riportarlo alle intenzioni originarie. Le speranze erano nulle e, infatti, alla fine, con 153 voti favorevoli, 118 contrari e 3 astenuti, la Camera ha approvato l’emendamento sottoscritto da Rizzetto.
Cosa cambia con la versione Rizzetto?
Nella nuova proposta di legge le novità sono sostanzialmente due, ma parecchio importanti. Innanzitutto, la legge passa da essere di competenza del parlamento ad essere una legge delega. Vuol dire che sarà il governo a sviluppare nel dettaglio la legge, avrà sei mesi per farlo. In pratica, il governo ha negato la proposta delle opposizioni, ma al contempo non potendo far finta di nulla sulla questione salari si è preso sei mesi di tempo per sviluppare una sua proposta, di cui però sappiamo già una cosa per certo: non prevederà un salario minimo.
Infatti, la seconda novità è che la soglia dei 9 euro l’ora è scomparsa dal testo. Non solo, sono anche scomparsi i riferimenti al salario minimo in generale, non viene neanche menzionata la parola “salario”. La legge delega si pone come obiettivo di “garantire a ogni lavoratore e lavoratrice una retribuzione equa e sufficiente”. E da quanto traspare dal testo, il governo cercherà di raggiungere questo obiettivo con lo stimolo al rinnovo dei contratti collettivi, il contrasto alla concorrenza sleale, il contrasto l’evasione fiscale e contributiva e il ricorso al lavoro nero o irregolare.
Il governo quindi tenterà di aumentare i salari non con un minimo orario universale come per il salario minimo, ma definendo per ogni categoria i contratti collettivi più applicati, insomma il governo ha sposato la tesi del CNEL come giustificazione all’abbandono del salario minimo.
Il giorno della marmotta
Per chi mi conosce e segue questa newsletter da un po’ sa cosa penso del governo e devo dire che inizio anch’io a stufarmi di ritrovarmi a scrivere le stesse cose di volta in volta. Perché da quando Meloni si è insediata a palazzo Chigi il tempo si è fermato e viviamo nel giorno della marmotta della politica. Ad oggi, ogni occasione per migliorare la vita degli italiani è stata buttata al vento, l’abbiamo contestata, ci abbiamo dormito su e il giorno dopo è successa la stessa cosa. L’unica cosa diversa è che domani, 4.5 milioni di lavoratori (senza contare tredicesime e TFR), continueranno ad avere un salario sotto i 9 euro l’ora, corrispondente al 29,7% dei lavoratori privati in Italia.
Passando al concreto, i settori che ad oggi prendono sotto i 9 euro l’ora sono molti e a volte le paghe sono molto lontane dai 9 euro. Pensiamo al settore della vigilanza, il cui contratto collettivo rinnovato ad aprile è poco più di 5 euro l’ora; quello delle imprese di pulizie, con 6,52 euro l’ora; i lavoratori del tessile e abbigliamento con 7,09 euro l’ora; i lavoratori dei settori assistenziali con 7,18 euro l’ora; i lavoratori della ristorazione con 7,28 euro l’ora e i lavoratori del turismo con 7,48 euro. Settori lavorativi su cui l’italia non solo fa un enorme affidamento (pensiamo alla centralità del turismo nell’idea di sviluppo economico del governo, o ai settori della sicurezza e dell’assistenza), ma anche tutti temi - teoricamente - cari alla destra che, però, quando arriva il momento di mettersi al fianco dei lavoratori dimentica la sua stessa propaganda.
Negare il salario minimo è una decisione ingiusta per tutti i lavoratori che, ad oggi, guadagnano paghe da fame e anche per tutti gli altri. Il salario minimo infatti, oltre all’effetto principale di aumentare i salari per chi è sotto la soglia, ha anche diversi effetti collaterali positivi per tutta l’economia. Infatti, le ricerche economiche sui vari salari minimi fin qui applicati, non dimostrano particolari effetti negativi sull’occupazione, non solo, il salario sembra permettere un aumento dei consumi delle fasce più povere della popolazione. Aumento dei consumi che è capace di portare un miglioramento a tutta l'economia grazie all’effetto moltiplicatore. Che spiegato in breve vuol dire: l'aumento dei consumi porta a un aumento della produzione e quindi dell'occupazione, che portano a loro volta a un ulteriore aumento dei consumi, causando una spirale positiva.
Questa volta il governo è platealmente andato contro i lavoratori che prendono paghe da fame, i suoi elettori e tutti gli italiani che avrebbero giovato dell’effetto moltiplicatore che il salario minimo avrebbe portato. I salari in Italia sono un'emergenza che andava risolta anni fa e che invece, anche questa volta, grazie al governo più spaventato d’Europa, vediamo rimandata nell’agenda come se fosse un fuocherello di paglia qualsiasi, pronti al risveglio di domani in cui tutto sarà uguale a ieri.
Una vacanza col salario minimo
Allora, ormai lo sapete, organizzo vacanze per sbollentare lo stress, siamo quasi a natale e non so più quanto ho lavorato, è il momento di evadere.
A questo giro, organizziamo qualcosa per il governo. Sarebbe bello mandare questo governo impegnatissimo dalle lotte contro i nemici della nazione, ravers, lavoratori poveri o coppie omogenitoriali che siano, a sbollentare nell'emisfero australe, una spiaggia e un mojito, combo preferita del ministro delle infrastrutture, e via.
Ma dove?
Beh, ovviamente un posto con una brand reputation e una destination, inconfonbile. Ma anche, un posto dove il governo, il giorno dei lavoratori alza il salario minimo, il Brasile di Lula, Rio de Janeiro, i parametri sono tutti soddisfatti.
Rio è anche uno dei miei posti preferiti al mondo, non può essere altrimenti, è l'unica città al mondo in una foresta tropicale, è una megalopoli ma marittima ed è piena di luoghi iconici.
E ora i problemi, Rio non è certo una destinazione da weekend, con voli che durano tra le 14 e le 21 ore circa. Dall'Italia, di solito, si fa scalo a Parigi o Amsterdam, ma è possibile trovare voli diretti. Il costo, in genere, si attesta intorno ai €500,00.
Ma il periodo è perfetto, Natale a Rio, con il clima al contrario dell'emisfero australe, ci permette di vivere il natale in spiaggia, con quelle scene quasi distopiche con i babbi natale in barca o sulle tavole da surf.
La città è vastissima, quindi non posso che suggerire al governo, e a qualcuno di voi che leggerà questa lettera, di affidarvi a una guida e avere un piano ben strutturato prima.
Ovviamente, non posso che consigliare al governo di usare i mezzi pubblici, via le auto blu e gli autisti, solo RioCard Bilhete Único Carioca, la tessera prepagata e ricaricabile con sconti. Per rientrare la sera passino i Taxi e gli Uber, per stare sicuri.
Alloggiare a Rio non è molto costoso e si può restare in zone centrali. Al governo non potrà che far bene vedere un po' di sole, qualche festa e vedere come un altro governo cerca di aiutare i lavoratori.
Ultimo ma non ultimo, mai viaggiare impreparati, vale per il governo e per tutti noi, il turismo di massa avrà reso tutto più facile, ma non c'è viaggio senza confronto, senza rispetto per la cultura che visitiamo e, in ultimo, senza comprensione. Per questo non posso che suggerirvi il numero dedicato al brasile della collana The Passenger della casa editrice Iperboria, un'ottima introduzione al Brasile, dalla Bossa Nova alla politica dei giorni nostri.
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