Anno nuovo, vecchia Meloni
La presidente Meloni è finalmente riemersa dopo un'assenza tanto lunga che sembrava aver perso il conto dei giorni (mancava dal 20 dicembre). La conferenza di fine anno del 4 gennaio è stata un'occasione per confermare che l'anno nuovo porta con sé la stessa vecchia Meloni: imprecisioni, bugie sfacciate e il solito atteggiamento vittimista. Prepariamoci a smontare le sue dichiarazioni con un po' di sana critica.
Diamo i numeri
Come in altre occasioni è sulle questioni economiche che Meloni ha cercato di gonfiare i pochi risultati.
Uno dei piatti forti di questo governo è mentire, in modo piuttosto plateale, sulla crescita del PIL e in questa conferenza stampa la Presidente lo ha servito ai giornalisti, e tutti noi, dicendo che la crescita italiana: “è stimata superiore alla media europea.”
In realtà, con un modesto 0,9 per cento di crescita stimata l’Italia è sotto la media europea del 1,3 per cento. Non solo, è la quart’ultima percentuale di crescita in tutta l’unione europea.
Immancabile la citazione al taglio del cuneo fiscale, di cui abbiamo parlato più volte, questa volta con un pizzico di conservatorismo vecchia scuola, quello che vuole tenere la spesa pubblica al minimo. Meloni ha dichiarato: “Abbiamo diminuito le tasse tagliando la spesa pubblica” e la realtà non potrebbe che essere più lontana. Innanzitutto perché il taglio del cuneo fiscale e quelli di IRPEF e imposta sul reddito sulle persone fisiche sono stati finanziati con aumenti di tasse e soprattutto un aumento del deficit di ben 15 miliardi rispetto allo scorso anno. Di questi 15 miliardi, 10 miliardi sono necessari per coprire il taglio del cuneo fiscale, insomma la realtà e la presidente sono sostanzialmente agli antipodi su questa affermazione.
La bugia della tasca vuota delle banche
Qualche mese fa il governo aveva cercato di proporre una misura effettivamente redistributiva che andava a tassare gli extraprofitti delle banche, ovvero i maggiori profitti causati dall’aumento dei tassi di interesse sui mutui e prestiti. Meloni ha chiaramente ammesso che il suo è stato il primo esecutivo abbastanza “coraggioso” da fare una tassazione sulle banche. Una dichiarazione e una legge che dovevano fierezza nell’operato del governo, purtroppo però quella che era partita come una tassa sugli extraprofitti si è trasformata in un incentivo per le banche che permette di rafforzare il loro patrimonio. In pratica, ad oggi, non ci sono banche che hanno versato maggiori tasse allo stato per via delle modifiche del provvedimento apportate dopo l'annuncio. Questo repentino cambio è dovuto proprio alla mancanza di coraggio del governo che, vista la risposta contraria dei mercati alla proposta di legge, gli stessi mercati che la destra di FDI ha sempre detto di osteggiare, ha preferito ritrattare.
Le bugie sulla questione premierato
Le dichiarazioni di Meloni sul premierato sono quelle tra le più faziose. Probabilmente ne avrete già sentito parlare perché hanno attirato l’attenzione e le critiche di molte persone nel dibattito pubblico. In sostanza, Meloni dice che la riforma premierato non toccherà i ruoli del presidente della Repubblica, quando non solo li tocca eccome, ma li depotenzia in modo netto a favore di quelli del presidente del Consiglio (se viene chiamato premierato ci sarà un motivo).
Partendo dalla modifica dell'articolo 92 della Costituzione, dove l’intenzione è togliere al presidente della Repubblica il potere di nominare il capo di governo. Si passerebbe quindi da un presidente della Repubblica che nomina il presidente del Consiglio, a un presidente che non può fare altro che prendere passivamente atto del risultato delle elezioni. Infatti, con questa modifica il presidente della Repubblica potrebbe esclusivamente nominare premier il capolista della lista elettorale vincente.
Un probabile effetto a cascata di questo depotenziamento dei poteri del presidente della Repubblica sarà, secondo diversi costituzionalisti, il rendere la nomina dei ministri scelti dal presidente del Consiglio un atto dovuto da parte del presidente della Repubblica, in quanto i rapporti di forza sarebbero ormai sbilanciati verso il primo.
Altri articoli che la riforma intende modificare incidono in modo sostanziale sui poteri del Presidente: con la modifica all’articolo 94 si andrebbe a togliere la possibilità di formare governi tecnici al presidente della Repubblica, con la modifica dell’articolo 88 il presidente della Repubblica non potrà più sciogliere solo una delle due camere e infine con l’articolo 59 non potrà più nominare i senatori a vita.
Il caso MES
Inoltre, data la lunga assenza Meloni è dovuta ritornare su argomenti che nella nostra testa sembrano provenire da un’altra vita, come la mancata riforma del MES. In breve, la presidente ha sostenuto che la sua mancata ratificazione da parte del parlamento, causata dai voti contrari provenienti dalla maggioranza stessa, potrebbe aprire a una revisione del MES in sede europea. Purtroppo per lei e i suoi alleati di governo i vertici europei del MES e dell’Eurogruppo avevano commentato già all’indomani del voto contrario che una riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità sarebbe stata possibile solo in seguito all'approvazione da parte di tutti gli stati membri.
Una cosa che ad oggi sembra abbastanza improbabile.
Quello che si dice e quello che non si dice
Il ritorno di Meloni ci ha anche mostrato un'insolita precisione. La presidente è stata estremamente precisa, fino ai decimali, quando ha parlato del primo risultato elettorale del partito che ha contribuito a fondare, Fratelli d’Italia. Ha infatti dichiarato: “alle prime elezioni ha preso l’1,95 per cento” una dichiarazione estremamente puntuale e non a caso. Il metodo è sempre lo stesso, vittimizzarsi quando puoi, in questo caso ricordando da quanto indietro partiva il tuo partito, e gonfiare i risultati facendo confusione con i dati o ignorandoli, esemplare il passaggio sullo spread che per Meloni è “stabilmente sotto i 160 punti”: purtroppo nella realtà sotto i 160 punti ci è stato solo per qualche giorno a dicembre.
Se potevamo aspettarci questo meccanismo che gonfia e sgonfia i risultati in base alla necessità, è stato francamente deludente non vedere citato, neanche dai giornalisti, l’incremento degli eventi meteorologici estremi e in generale le conseguenze del riscaldamento globale che l’Italia e gli italiani hanno vissuto quest'anno. Il 2023 ha visto un aumento del 22% degli eventi meteorologici estremi, quest’anno arrivati a 378, 31 persone sono decedute e i danni economici sono nell’ordine delle decine di miliardi di euro. Il tutto corredato dal fatto che l’Italia, fino al 2 gennaio di quest’anno, non aveva un piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico e quello attuale non è ancora stato finanziato. Per presentare un piano nazionale di adattamento sono serviti ben 6 anni e 4 governi.
In sintesi, Meloni è tornata, ma sembra che le vecchie abitudini siano ben radicate.
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